Ecco lo tsunami italiano

Trovate le incisioni del maremoto che colpì il Sud nel 1783
Data: 12/02/2005
Fonte: Il Messaggero
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NAPOLI (11 feb. 2005) - Durante alcuni lavori di ristrutturazione della sede della Società Nazionale di scienze, lettere e arti in Napoli, sono riemerse alcune notevoli opere ormai dimenticate, tra cui una Istoria del tremoto avvenuto nelle Calabrie e nel Valdemone nell?anno 1783 . Il volume in quarto, prodotto e stampato un anno dopo il sisma a cura della Società stessa quand?era ancora Reale Accademia delle scienze e delle belle lettere , è corredato da un atlante in folio con decine di incisioni che documentano gli effetti di uno spaventoso cataclisma, tra i più devastanti degli ultimi secoli nel Meridione d?Italia.
Era il 5 febbraio del 1783, un?ora dopo mezzogiorno, quando la terra di Calabria prese a tremare con inaudita violenza. Il giorno seguente una seconda, ancor più vigorosa, scossa «abbatté molte città», scrive Pietro Colletta nella sua Storia del Reame di Napoli , «scompose molti terreni della Calabria e della Sicilia, con uccisione di uomini e greggi, e universale spavento nei due regni. Intanto che il mare tra le spiagge di Cariddi, Scilla e le spiagge di Reggio e di Messina, sollevato di molte braccia, invadeva le sponde, e ritornando al proprio letto trascinava greggi e uomini».
Di questo tsunami, con onde alte 36 palmi, ossia quasi 10 metri, l?atlante della Società Nazionale ci tramanda due suggestive immagini: quella di un uomo aggrappato ad una botte mentre l?acqua lo travolge, e quella di una ragazza, disperatamente avvinghiata ad un albero nel tentativo di sfuggire alla violenza delle onde, che atterriscono un?altra figura accasciata al suolo. Quanta somiglianza con le scene del più recente tsunami nel Sud-Est asiatico! La penna di un artista settecentesco ha esemplificato, verosimilmente rendendo in immagini i racconti di qualche testimone oculare, il dramma di un branco d?uomini terrorizzati, decimati da un mare impazzito presso le cui rive erano accorsi per sottrarsi alla violenza della terra; a Scilla il maremoto fece oltre 1.500 vittime.
Oggi le videocamere ci hanno mostrato innumerevoli scene simili a queste, con una dovizia di dettagli resi brutali dalla fredda oggettività del mezzo tecnologico e nel contempo annacquati dall?insita virtualità di rappresentazioni la cui realtà soggettiva è affidata ad un tasto di telecomando. Nella lunga pausa natalizia, tradizionalmente povera di notizie, abbiamo avuto ampio agio di vivere, quasi in diretta, un?immane tragedia e, con martellante continuità, siamo stati esposti dai media agli sviluppi del catastrofico evento. Ci siamo commossi ed abbiamo partecipato in massa, emotivamente ed economicamente, di slancio, senza chiedere come, dove, quando, a chi?
Poi la notizia, longeva sì ma non eterna, s?è spenta ed è finita in fondo ad uno scaffale, come il grande atlante della Società Nazionale, dimenticata insieme ai tanti morti e alle sciocche paure per le conseguenze della crisi sismica sull?asse di rotazione della Terra.
Scrive ancora Colletta: «Quando nella estate, per fetore de' cadaveri (bruciati ma non tutti e tardi) ed acque stagnanti, meteore insalutari, penurie, dolori, sofferenze, si manifestò ed estese nelle due Calabrie morbo epidemico, il quale aggiunse morti alle morti, e travagli ai travagli di quel popolo. Tanto miseramente procedé quel anno; ed al cominciare del 1784, fermata la terra, spenta la epidemia, scordati i mali o gli animi rassegnati alle sventure, si volse indietro il pensiero a misurare con freddo calcolo i patiti disastri. In dieci mesi precipitarono duecento tra città e villaggi, trapassarono di molte specie di morte sessantamila Calabresi; e in quanto a' danni, non bastando l?arte o l?ingegno a sommarli, si dissero meritamente incalcolabili: furono al giusto i nati, non pochi e maravigliosi i matrimoni, i delitti molti ed atroci; i travagli, le lacrime infiniti». Vien proprio da dire, pensando a noi stessi, che il lupo perde il pelo ma non il vizio. O forse no? Mi piacerebbe sapere, tra qualche mese, che fine hanno fatto le popolazioni povere intorno ai grandi centri di vacanza che comunque, io credo, verranno presto ricostruiti nelle isole di sogno devastate da quel maremoto che oggi chiamiamo tsunami, ?onda nel porto?: forse perché con un nome alieno ci fa meno paura.
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