L'AQUILA - Doveva essere un giorno bellissimo, questo. "Maila fa la Cresima. Già da mesi stavamo preparando la festa. Una grande 'rosticciata' nel giardino di casa nostra o in un ristorante. Tutti i nostri amici invitati. E invece...". Maila riceve il sacramento dentro una caserma, quella della Finanza. Ormai tutta la vita dell'Aquila si svolge in questa che sarà la caserma del G8. Non ci sono altri spazi, in città. Nessuna chiesa è agibile e allora il vescovo celebra qui.
Maila arriva sotto un temporale, camicetta nera, pantaloni rosa. "Solo stamattina - raccontano Fabiana ed Eugenio, la mamma e il papà della ragazzina - abbiamo mandato un sms agli amici e ai parenti. "Oggi Maila fa la Cresima. Festeggeremo non appena i tempi saranno migliori per tutti". Qualcuno si è un po' arrabbiato, perché è stato avvertito all'ultimo momento. Ma l'abbiamo fatto apposta. Come si può fare una festa in giorni come questi? Se inviti i parenti e gli amici, questi si sentono in dovere di spendere: per vestirsi bene, per il regalo a Maila... Non ci è sembrato giusto mettere in difficoltà i parenti. Qui quasi tutti siamo senza lavoro, siamo senza casa. E allora faremo una festa quando i tempi saranno cambiati e noi non vivremo più sotto una tenda".
La "commare" (così qui chiamano la madrina) di Maila è la zia Cristina. "Le abbiamo regalato un palmare. Qui in tenda aveva rotto il suo cellulare, aveva perso la rubrica con i numeri di tutti i suoi amici, era disperata". Stasera si mangerà in mensa, come tutte le sere. Ma dopo ci sarà la torta. "Inviteremo alcune sue amiche, conosciute in tendopoli. E' l'unica festa che riusciamo a fare".
Anna Rita, la nonna, 54 anni, ha ripreso il suo lavoro a Roma. "Tornerò in azienda mercoledì, dopo il ponte del 2 giugno. Ma mi bastano il sabato e la domenica qui in piazza'Armi per stare male tutta la settimana". Stanno male tutti, in queste tende bruciate dal sole e subito dopo annegate dalla pioggia. Anna Rita non nasconde la sua disperazione. "Dicono che a settembre ce ne andremo tutti, ma io faccio fatica a crederci. E poi mi faccio una domanda: chi saremo, quando usciremo da qui? La tristezza diventa ogni giorno più profonda, ti scava dentro. Forse riuscirà a rovinarci, a farci diventare persone diverse". Ha in mano un ritaglio di giornale. C'è scritto che questa tendopoli è "Il ghetto dei disgraziati". "Non possono permettersi di scrivere cose come queste. Queste parole ci offendono. Qui c'è tanta brava gente, che fino a ieri lavorava e pagava le tasse e che adesso non ha più nulla. Se questo è un "ghetto" la colpa non è nostra ma di chi ha organizzato questa enorme tendopoli".
Sono tante le cose che non funzionano. "Ci sono i tossicodipendenti che prima erano seguiti dal Sert e che adesso vagano per il campo. Ci sono gli ospiti del Centro di igiene mentale che è stato distrutto. Ci vorrebbe più assistenza, per queste persone. La vita in tenda è terribile per noi, immaginiamo per chi è più sfortunato. Ci sono i pedofili, i violenti, i ladri. E invece di aiutare i più deboli, c'è chi lavora per trasformare questo accampamento in una Alcatraz".
E' battagliera, la mamma di Cristina e Fabiana. "L'altro giorno trovo questo cartello affisso alla mensa. "Da domani 29 maggio non sarà più possibile distribuire il vino". E ci hanno tolto anche il caffè, bloccando la macchinetta automatica. E allora ho detto no. Mi sono messa a parlare con gli altri, lì davanti alla mensa, e abbiamo deciso di raccogliere le firme di protesta. Il cartello è sparito, in mensa si può ancora bere il bicchiere di vino. E con 20 centesimi ti puoi comprare un caffè al distributore automatico. Ma lo sa cosa vuol dire, per chi si alza presto per andare a lavorare, non poter nemmeno bere un caffè?".
Il clima di collaborazione dei primi giorni, e anche il rapporto con i volontari organizzati dalla Protezione civile, sono ormai un lontano ricordo. "Nei primi giorni arrivava di tutto, anche molti vestiti. Noi abbiamo una certa dignità, non ci è mai piaciuto arraffare ciò che viene messo a portata di mano. E così abbiamo lasciato che altri, tanti, si servissero prima di noi. Così, a quasi due mesi dal terremoto, ci troviamo ancora con gli abiti dell'inverno. I volontari cambiano ogni settimana. Ci sono quelli bravi e quelli che invece ti fanno pesare ogni cosa, come se noi fossimo dei privilegiati che vogliono vivere a spese dello Stato, e non dei disgraziati che hanno perso tutto".
Il lavoro a Roma non cancella l'angoscia. "Mi basta un nulla per stare male. L'altra sera, a casa di una zia, stavo facendo la doccia quando ho sentito un rumore fortissimo. Era in camion della spazzatura che scaricava un cassonetto, ma a me è sembrato subito un nuovo colpo del terremoto. Basta una finestra che sbatte, e il cuore mi va in gola. E poi, al venerdì sera, torno qui. La terra non smette mai di tremare. Anche stanotte ho sentito due scosse, mi sono messa a piangere per la paura. Mio marito Claudio mi sgrida, dice che devo essere più forte. Ma io so che fino a quando le scosse non cesseranno, nessuno se la sentirà di tornare a casa e questo resterà per mesi e mesi un accampamentio immenso. Quanto dovremo aspettare, noi che abbiamo la casa da demolire? Ci faranno una casetta di legno, anche piccola piccola, che ci permetta di uscire da qui? Non sappiamo a chi fare queste domande. Quelli del Comune non si fanno mai vedere. Io non vedo l'ora di ritrovare la mia vita di due mesi fa, quando mi sentivo utile. Non vedo l'ora di preparare un soffritto alle figlie, ai generi e alle nipotine, e la pasta al forno, come facevo tutte le domeniche. E invece, stasera, per la "festa" di Maila, andremo a mangiare nella mensa di tela".